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la preparazione della passata di pomodoro fatta in casa.

Le donne, intanto, radunarono i pomodori tagliati in una grande pentola e, dopo aver acceso il fuoco, li lasciarono cuocere lentamente. Aggiungendo cipolla sbucciata e affettata, foglie di basilico lavate e asciugate; era un gesto naturale, che riempiva l’aria di un profumo inebriante. “Il basilico lo toglieremo dopo,” sussurrò Lucia, come se fosse un segreto che solo chi ha esperienza può capire.
Dopo circa venti minuti di cottura, l’acqua di vegetazione dei pomodori si era separata dalla polpa. Con un mestolo forato, le donne iniziarono a raccogliere la polpa, trasferendola in un altro recipiente e lasciando l’acqua di vegetazione nella pentola. Quando la polpa si era intiepidita, la passarono al setaccio, utilizzando il passaverdure, per ottenere una passata liscia e senza semi. “Non dobbiamo sprecare nulla,” diceva Lucia, mentre ripassava gli scarti per estrarre anche l’ultimo filo di polpa. Con la salsa ormai pronta, le donne la rimisero nella pentola, aggiungendo un po di sale. La lasciarono cuocere a fuoco lento, senza coperchio, fino a raggiungere la densità desiderata. Intanto, alcune donne si dedicarono alla sterilizzazione delle bottiglie e dei tappi, facendoli bollire in una grande pentola d’acqua per almeno trenta minuti, per poi lasciarli scolare a testa in giù su un canovaccio pulito. Mentre la salsa sobbolliva dolcemente, Lucia decise che era il momento di una pausa. Con un gesto affettuoso, invitò alcune delle donne a preparare il caffè. Andrea, che non aveva mai smesso di suonare le sue launeddas, si unì al gruppo, seguendo la melodia con un sorriso sereno. La cucina si riempì presto dell’aroma intenso del caffè appena fatto e dell’odore dolce dei pistoccus, i biscotti fatti in casa, preparati il giorno prima proprio per questa occasione.
Quando il caffè fu pronto, le donne tornarono nel cortile, distribuendo tazzine fumanti e pistoccus a tutti i presenti. Anche i turisti, ormai integrati in quel momento di vita sarda, accettarono con gratitudine l’offerta, immergendosi completamente in quell’esperienza unica. Tra un sorso di caffè e un morso ai dolci biscotti, il suono delle launeddas di Andrea continuava a riempire l’aria, accompagnando le risate e le chiacchiere che si alzavano leggere, come foglie al vento. Dopo la pausa, il lavoro riprese con rinnovata energia. Le bottiglie, ormai asciutte e sterilizzate, vennero riempite con la passata ancora calda. Lucia sorrideva osservando le mani giovani e anziane che si muovevano in sincronia, come se tutte conoscessero perfettamente i passi di quella danza. “Lasciate un paio di centimetri tra la passata e il coperchio,” ricordava, “così il sottovuoto sarà perfetto.”
I barattoli, una volta chiusi, vennero disposti con cura in una grande pentola piena di acqua calda, pronti per la pastorizzazione. I canovacci, sistemati tra un barattolo e l’altro, impedivano che si toccassero e si rompessero durante l’ebollizione. Dopo 35 minuti di cottura, i barattoli furono lasciati raffreddare lentamente nella pentola, avvolti in una grande tovaglia che li avrebbe tenuti al caldo fino a completo raffreddamento.
Quando l’ultimo barattolo fu riposto con cura, la giornata volgeva al termine. Il sole iniziava a calare, tingendo il cielo di un arancione caldo, mentre le donne, stanche ma soddisfatte, si sedettero finalmente per riposare. Andrea, con le sue launeddas, chiuse la giornata con una melodia dolce, quasi malinconica, che sembrava celebrare non solo il lavoro svolto, ma anche il legame indissolubile che univa quella comunità. I turisti francesi, che avevano assistito a tutta la scena, si avvicinarono per ringraziare, promettendo di portare con sé il ricordo di quella giornata speciale. E così, tra un ultimo sorso di caffè e un pistoccu rimasto, si concluse una giornata di tradizione, lavoro e gioia, che sarebbe rimasta impressa nel cuore di tutti, come l’aroma del pomodoro maturo e il suono delle launeddas che riecheggiava nell’aria serale.

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